MARZO/MAGGIO 2022, MESSICO
Residenza promossa da Fusion Art Center, a cura di Giovanna Maroccolo

Arte a servizio delle lotte civili e ambientali delle comunità indigene autonome del Chiapas

Il Messico e in particolare lo stato del Chiapas, è stato da sempre scenario di lotta per le rivendicazioni dei diritti delle comunità originarie, per la preservazione della terra e delle risorse naturali, minacciate dagli interessi delle grandi imprese estrattive, dei mega progetti, delle politiche economiche corrotte, del razzismo interno a sfavore delle classi sociali più svantaggiate, mai veramente tenute in considerazione dai vari governi che si sono susseguiti, più interessati a sostenere il progresso e lo “sviluppo” economico del paese che la conservazione della biodiversità, da sempre ruolo delle comunità indigene. La lotta per l’autonomia zapatista in Messico esplode nel 1994 e continua ancora oggi. Anche se da anni ufficialmente il governo ha concesso una tregua alle violente repressioni ai danni delle comunità in lotta per la terra e la libertà, la realtà è che i loro territori sono costantemente sotto assedio, le loro coltivazioni distrutte, la loro sopravvivenza costantemente minacciata.

COSA PUO’ FARE L’ARTE 
L’obiettivo di questa residenza non è quello di creare un progetto o un’opera, bensì di mettersi completamente a servizio delle necessità pratiche e simboliche che le compagne e i compagni delle comunità autonome zapatiste esprimeranno durante la convivenza con l’artista. Ciò che nascerà sarà un’opera o un’azione collettiva che avrà lo scopo di amplificare le rivendicazioni di questi popoli in lotta.

LA RESIDENZA
MARZO/MAGGIO 2022

La residenza si sviluppa in tre fasi. Durante la prima artista e curatrice del progetto trascorreranno due settimane all’interno di una comunità autonoma come Brico (Brigate Civili di Osservazione), nella sierra del Chiapas. Durante la seconda fase, in costante dialogo con organizzazioni locali e le stesse persone delle comunità, si sposteranno a San Cristobal De Las Casas, per un mese di studio e elaborazione delle informazioni raccolte.
La terza fase del progetto sarà dedicata alla diffusione e dipenderà dall’andamento delle prime due.

L’ARTISTA – SIMONA SALA

Simona Sala è artista visiva, attrice e performer. Nel 2006 fonda la compagnia Sineglossa di arti performative. Dal 2011 lavora al Grotowski Institute di Wroclaw (PL) all’interno della compagnia Teatr Zar nelle performance Armine, sister e Medee On getting Across con cui partecipa a numerosi festival tra cui San Francisco-Internationl Arts festival e Paris-Theatre de la Tempette. Nel 2011 collabora con Fundacja Jubilo con il progetto Unlocking di 3 anni nel Penitenziario n.1 di Wroclaw con i detenuti di lunga sentenza. Tra il 2015 e il 2018 organizza viaggi di spedizione in Salvador de Bhaia per lo studio e la ricerca dei rituali di possessione del Candomblè e nel sud dell’Iran (ABADAN) per i rituali di possessione. Negli stessi anni collabora con Jaroslaw Fret, direttore del Teatr Zar, alla creazione delle Witness Action, un nuovo approccio interattivo e partecipativo alla performance, con lo scopo di superare l’esperienza artistica che si propone come estetica, nell’ottica di attivare un approccio legato invece all’identità e alla dignità personale. Tra il 2015 e il 2017 organizza conferenze e azioni pubbliche in cui pubblico e artisti si confrontano su come possano l’arte e gli artisti farsi testimoni e agire nell’ambito dell’azione, attraverso una nuova ritualità di partecipazione.

SITO WEB



L’ARTE, TERRITORIO DI CONQUISTA, DECOLONIZZANDO L’OPERA
Gli ultimi anni, soprattutto in Europa, rappresentano un momento storico importante per quanto riguarda l’agitazione pubblica e il ritorno alla strada da parte dei movimenti di rivendicazione sociale e ambientale. Questo ha comportato, come prevedibile, un interesse sempre più acceso da parte del sistema dell’arte verso quelle forme di arte attivista o arte politica, tanto che bandi per artistə, mostre istituzionali, biennali, gallerie e musei, stanno esplicitamente fomentando la produzione di arte “impegnata” e usando con sempre più disinvoltura l’ambiguo termine “artivismo”.

Se da un lato tutto questo interesse potrà sembrare un segnale di attivazione di coscienza del sistema e delle persone e quindi un positivo strumento di diffusione di temi oggi importanti e urgenti, dobbiamo assolutamente tenere conto anche del modo in cui un mercato funziona. Il mercato vive grazie ad un meccanismo di compravendita, e per fare questo c’è bisogno di prodotti (o servizi) che una volta prodotti, saranno venduti. E’ una dinamica inevitabile se ci si trova all’interno di un sistema che si costruisce sulla creazione di capitale. Il rischio, per l’artista e tutto l’ecosistema  indipendente e istituzionale che rodea la sua esistenza, è quello di strumentalizzare le istanze politiche che si propone di supportare. Nel disperato tentativo di sopravvivere nello spietato ed esclusivo sistema dell’arte, l’artista corre il rischio di utilizzare i temi che questo o quel bando gli chiedono di esplorare, per la pura produzione di un oggetto destinato a produrre un valore economico. Nulla di più lontano dalle lotte sociali e ambientali, storicamente e logicamente nate in opposizione alle diseguaglianze e all’oppressione scaturite naturalmente dal capitalismo.

Come decolonizzare quindi l’azione dell’arte dai tentacoli insidiosi delle pretese del mercato? Un’opera che nasce da un’intenzione reale di prendere parte ad un movimento e che fa sue le rispettive rivendicazioni, dovrebbe venire da un persona che è realmente coinvolta nella stessa lotta. L’artista quindi, prima di tutto, dovrebbe stare per le strade. Quelle rivendicazioni dovrebbero essere le sue. 

LA RESIDENZA